27.7.18

UN SOFFIO DI UMANITA'


"Non ci sono barriere che tengano, chi parte con l'idea di sopravvivere ha già messo in conto il rischio di morire."

 
Ho letto questo libro su suggerimento di un amico molto attento alle tematiche dell'immigrazione dall'Africa: un argomento mai come in questo periodo di grande attualità, che però viene spesso affrontato sempre da un unico punto di vista: quello di noi europei. 
Cosa possiamo fare per risolvere un problema? capirlo ovviamente, ma per capirlo lo si deve sviscerare in ogni suo aspetto, in questo caso ad esempio provando a conoscere una minima parte della realtà da cui fuggono i migranti.

Giuseppe Ragogna è andato in Kenya per vedere da vicino come è la realtà laggiù, cosa succede mentre qui diciamo "aiutiamoli a casa loro", quali sono le case che intendiamo, cosa è davvero aiutarli.

L'inizio del reportage è un pugno in faccia: Nairobi e le sue baracopoli, la gente che vive in strada sopravvivendo alla giornata, dormendo in giacigli di fortuna, scansando malattie e violenza e fame come attività quotidiana. Le favelas che non vediamo, che non immaginiamo nemmeno con la peggiore delle nostre fantasie, sono enormi e popolose e sono luoghi che a me hanno ricordato l'inferno dantesco e la perdita di speranza. 

La speranza tuttavia non si perde nemmeno lì, perchè ci sono volontari che si prodigano giorno e notte con mezzi limitati per salvare una vita alla volta, un giorno alla volta. Non esiste la parola "resa" per le suore e i sacerdoti delle missioni, che operano nella metropoli come nelle zone rurali del paese.

Per zone rurali intendiamo aree vaste in cui per andare a scuola i bambini camminano per chilometri ogni giorno, in cui strappare un po' di fertilità alla terra è un successo, in cui anche gli animali paiono partecipi della fatica quotidiana e del lavoro umano, della sfida meravigliosa e terribile allo stesso tempo della sopravvivenza.

Ragogna ha raccolto i suoi appunti di viaggio in queste pagine che si leggono in poche ore ma restano addosso per giorni. Mi è rimasto il senso di sfinimento e ammirazione per i bambini che affrontano lunghi percorsi faticosi per andare a scuola. Il peso e la responsabilità di cui si fanno carico le donne di quei luoghi, donne che vengono descritte con una ammirazione evidente, della quale è per me impossibile non essere partecipe.
Mi è rimasta, oltre che per i bambini e le donne, l'ammirazione per i volontari che lasciano l'Italia, l'agiato nord-est, per lottare altrove contro la povertà altrui. Gente che avrebbe potuto senza problemi lavorare in una ditta, avere uno stipendio fisso e facilmente costruire una sua fortuna, che ha preferito andare via e darsi al prossimo, economicamente, materialmente, moralmente soprattutto.

Credo che questo messaggio sia di una bellezza estrema: cosa c'è di più cristiano, di più intrinsecamente umano, che dare se stessi a chi ne ha bisogno? Cosa ci può mai essere di più vero di una voce che dice: aiutiamo chi ne ha bisogno, senza chiedere da dove viene, piuttosto che dire "prima qualcuno"?

L'omino rosso edizioni, 2018



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